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Sorridi: sei morto!

Qui zucche di Aulin

Se ieri nello stesso scaffale di Tiger c'era la nuova collezione 'back to school' pronta ad accoglierti alll'ingresso, oggi scopri che matite e quaderni hanno sbaraccato per far spazio a zucche arancioni, fantasmini, teschi colorati e calderoni neri di plastica.


Per buona pace dei tradizionalisti più incalliti e Mario Giordano, trovare l'iconica zucca arancione è un gioco da ragazzi anche nei fruttivendoli situati negli entroterra più remoti del paese dove fanno capolino cartelli con scritto "Qui zucche di Aulin".

Ancora fuori dal riflettore del mainstream rimane il Día de los Muertos, conosciuto ai più per i teschi colorati con cui i messicani non scherzano affatto. La Disney-Pixar ci ha addirittura fatto un film.


"Colpa della globalizzazione", diranno certi, "Colpa del consumismo" diranno altri ma queste due date sono state cerchiate di rosso con anticipo per fare le cose in grande da almeno qualche secolo. E con motivazioni di un certo spessore.



Il papà di Halloween

Prati verdi a perdita d'occhio, capanne in legno, fabbri alla porta delle loro botteghe, druidi alla ricerca dell'ultima erba magica, greggi di pecore e una certa nebbiolina a condire il tutto: ecco l'Irlanda del IV a.C., culla del primo Halloween della storia.

Per questo popolo, il 1 novembre non era un giorno come gli altri ma l'inizio del nuovo anno, quando finiva ufficialmente la bella stagione ed iniziava quella fatta di freddo, buio e racconti di leggende attorno al fuoco.

Nonostante si stavano salutando il caldo e il sole fino al prossimo anno, i Celti pensavano che ogni occasione fosse buona per far festa: ecco lo Samhain (si pronuncia 'sow-in'), letteralmente 'summer's end', la fine dell'estate.


Un drink col morto

A differenza della nostra concezione vita-morte, i popoli celtici se la vivevano con una certa serenità la caducità della vita terrena perchè faceva parte del grande disegno celeste e come tale doveva essere accettato. In più, si credeva che proprio alla vigilia del nuovo anno, il 31 ottobre, gli spiriti dei defunti passassero per un salutino nel regno dei vivi e proprio per questo necesitassero di una luce per imboccare la strada giusta. La gioia per l'anno nuovo e

la stizza della morte si univano all'accensione del Fuoco Sacro, un enorme falò, nel bosco più vicino chiamando a raccolta tutte le tribù nelle vicinanze per far festa.



Dopo quattro salti attorno al fuoco, una bella cantata di gruppo, la sfilata delle maschere più macabre e qualche sacrificio animale, ce se ne ritornava a casa illuminando il cammino con le braci del Fuoco Sacro che continuava ad ardere in cipolle appositamente intagliate, rudimentali lanterne che poi sarebbero state sostituite con le più attuali zucche.

I festeggiamenti non finivano qui, anzi. Per i successivi tre giorni, si continuava a salutare l'anno nuovo consumando il cibo offerto in sacrificio agli Dei e rendere onore agli animali uccisi utilizzando le loro pellicce per confezionare gli abiti tradizionali con cui si cercava di spaventare gli spiriti maligni.


Sacrifici animali cipolle intagliate e falò oggi non si usano più ma continuano ad avere sempre un certo fascino. Nella contea di Meat e di Louth, in Irlanda, si può avere un'infarinatura di quello che solitamente era la routine del tempo con il Púka Festival, un'enorme rievocazione storica dalla durata di tre giorni in cui ci si può immedesimare in druidi, stregoni o semplici contadini che rendono grazie agli Dei per il raccolto abbondante.


2 novembre: una notte al cimitero

Accanto a streghe e zombie, sugli scaffali dei negozi hanno fatto la loro timida comparsa teschi e scheletri tutti colorati che fanno intendere tutto tranne che morte e desolazione. Prendete la calavera più variopinta che vi capita fra le mani e guardatela bene: dietro quei colori si nasconde la filosofia di vita di popoli antichi come la terra.


Maya e Atzechi credevano che l'equilibrio cosmico fosse scandito dall'eterna alternanza fra la vita e la morte e che per questo il culto dell'adorazione degli antenati fosse di vitale importanza. Proprio come funzionava per i Celti, l'angoscia nei confronti della morte veniva trasformata in gioia e accettazione perchè parte di un disegno più grande e, per questo, inevitabile.

Fra fiori coloratissimi e festoni sgargianti, il 2 novembre aka el día de los muertos, rimane da secoli il giorno della "visita parenti" per cui si preparano veri e propri altari in loro onore: alcune foto, cibo, fiori, un bicchiere d'acqua per dissetarsi dopo il lungo viaggio dal regno dei morti e del sale, il portafortuna e simbolo di protezione per eccellenza.

C'è chi ama fare le cose in grande non accontentandosi di acchittare a festa la propria casa per accogliere gli spiriti: scatta la notte in cimitero.

Ecco che luoghi solitamente austeri e dedicati al raccoglimento spirituale si trasformano in veri e propri accampamenti con pic-nic fra le tombe e musica a tutto volume per far capire che è proprio qui la festa.

Non si può parlare di un día de los muertos e di dolci se non ci sono le calaveras. Ricordate quel teschio di plastica pieno di fiori colorati e un non so ché di macabro preso in mano poco fa? Ecco a voi una calavera ma questa volta commestibile.

Sono dolci di zucchero decorati con altro zucchero con le sembianze del defunto da celebrare e usati come offerta per il suo spirito. E mangiati poi dai vivi.



Un biglietto che profuma di cempasúchil

Se i Celti accendevano un gran falò in mezzo alle colline, i messicani preferiscono di gran lunga il profumo dei fiori di cempasúchil per ricondurre i proprio defunti fra i vivi. Si dice che il profumo di questo piccolo fiore arancione riesca ad essere percepito anche dall'aldilà in occasione del día de los muertos ed è proprio la loro scia profumata che aiuta a trovare la strada giusta.

I fiori di cempasúchil sono la vera costante del 2 novembre; i loro petali vengono cosparsi lungo le strade, mazzi di fiori freschi sono un must negli altari e alcune ricette ne prevedono l'uso, soprattutto di dolci.



La morale

Conoscere tradizioni e abitudini di popoli diversi dal nostro può essere interessante, stimolante e curioso. Per un traduttore è necessario quanto l'ossigeno.

Ogni volta che ci si avvicina a qualcosa di differente dal nostro background culturale occorre farlo spogliandosi di ogni tipo di pregiudizi. Ad un primo impatto, le motivazioni dietro alle festività che abbiamo visto possono sembrare eccentriche, barbare, addirittura macabre, ma se si osservano più da vicino ci accorgiamo che sono semplicemente diverse dalle nostre abitudini.

Una corretta trasposizione di tali costumi non solo è necessaria alla stesura di una traduzione vincente ma anche alla trasmissione del diverso in una sfera culturale in cui non esiste tale peculiarità incentivandone la conoscenza, il rispetto e l'unione fra i popoli.


















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